Il “Decreto anticipi” e la tassa di soggiorno: quando l’austerità si scarica sul territorio

Il “Decreto anticipi” e la tassa di soggiorno: quando l’austerità si scarica sul territorio

Il dibattito esploso attorno al cosiddetto “decreto anticipi” mette a nudo una dinamica ormai strutturale: di fronte ai vincoli di finanza pubblica e alla scarsità di risorse, lo Stato non taglia l’obiettivo ma sposta il peso sui livelli più deboli della catena istituzionale, cioè #Comuni e Regioni. L’austerità non evapora: scende di livello. E finisce addosso ai #cittadini.

La mossa più contestata è l’uso dell’#imposta di #soggiorno come leva di finanza statale. Una tassa nata come “di scopo” — cioè destinata a migliorare servizi e #infrastrutture turistiche locali — viene ora piegata a funzioni estranee: da un lato finanziare interventi sociali che meriterebbero #fondi strutturali, dall’altro coprire miliardi per l’Olimpiade Milano-Cortina. Il risultato è un paradosso evidente: i #turisti pagano per compensare i tagli dello Stato, e i Comuni diventano il braccio fiscale del governo centrale.

Le operazioni previste sono due. La prima riguarda tutto il Paese: +2 euro a notte sulla tassa di soggiorno, con cui finanziare al 70% spese per il turismo locale e al 30% fondi statali per minori e alunni disabili. Due settori cruciali della spesa sociale che vengono improvvisamente appoggiati su un gettito aleatorio e territoriale: non una politica, ma una toppa. La seconda è specifica per Lombardia e Veneto, dove l’imposta cresce ulteriormente di +5 euro per canalizzare metà del gettito verso le Olimpiadi — un evento che, come tutti i mega-eventi, brucia risorse pubbliche e lascia spesso infrastrutture sovradimensionate e impatti urbanistici permanenti.

Il quadro macro conferma che non si tratta di un episodio isolato: la legge di bilancio ha già tagliato miliardi ai Comuni nel 2024 e nel 2025, costringendo le amministrazioni locali a ridurre servizi o a cercare entrate alternative. Ora arriva la tassa di soggiorno come “bancomat” di ultima istanza. Quando i conti centrali non tornano, si tassa il margine: prima gli enti locali, poi i turisti, in ultima istanza i residenti che pagano servizi peggiori.

La Consulta ha intanto avvertito che il blocco degli investimenti per le regioni in deficit produrrà divari crescenti e dunque diseguaglianza territoriale. È lo stesso esito che si intravede sulla spesa sociale: interventi delicatissimi vengono affidati a entrate variabili e non garantite, legate ai flussi turistici e ai mercati delle città d’arte. Così l’austerità — rivendicata come virtù — genera tagli reali al welfare, privatizzazioni striscianti, compressione dei servizi locali e alimenta il circolo vizioso dell’overtourism: si tassa il turista per sopperire ai costi del turismo stesso, senza ridurne pressioni e impatti.

Il decreto anticipi, più che un incidente, è una lente: mostra come, nel nome della disciplina di bilancio, si accetti che le fragilità sociali diventino variabili fiscali e che il territorio venga usato come ammortizzatore finanziario delle scelte centrali. Non è solo tecnica di bilancio: è una politica — quella in cui il prezzo dell’austerità lo pagano i luoghi, e in essi le persone.

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